testo, disegno e foto: Pino Barbato

Nel suo massimo sviluppo demografico Tussio raggiunse quasi le 700 anime, ed il suo sviluppo sembrava dovesse ancora andare avanti.
In queste condizioni la chiesa parrocchiale non soddisfaceva più le esigenze dei fedeli, e venne approntato un progetto che prevedeva quasi il raddoppio di quella attuale.

Resti delle mura delle Fabbriche

Si approntarono e si costruirono le mura della parte inferiore della nuova chiesa, che doveva  articolarsi su due piani, quello superiore a livello della chiesa attuale, per una larghezza di mt. 19,70 circa ed una pari lunghezza fino alla parte esterna dell’abside.
La nuova pianta della chiesa è già presente sugli accatastamenti effettuati nell’anno 1939,  ma già all’inizio della seconda guerra mondiale i lavori erano fermi. L’area del cantiere, comunemente denominata “le fabbriche” rimase abbandonata per lungo tempo, con la vegetazione spontanea che si impossessò di tutta l’area. Risale a quei tempi un uso “improprio” dell’area, specialmente per quelli che non avevano più le stalle sotto casa ( si ricordi che l’acqua corrente e quindi i primi veri e propri bagniarrivarono solo nel 1964).
Finita la guerra, Tussio, come tutti i paesi abruzzesi, subì una forte emigrazione, con conseguente drastico calo della popolazione. L’ampliamento della chiesa non era più necessario, e alla fine degli anni cinquanta, quello che era già stato edificato venne demolito e recuperato per la costruzione dell’asilo nuovo di Prata d’Ansidonia.
Oggi delle fabbriche rimangono pochi frammenti, due pilastri sagomati con l’imposta per il solaio, addossati alla parete di fondo della chiesa, nel luogo dove attualmente c’è il parco giochi per bambini, ed un tratto dell’abside, inglobato nel muro di spinta che fiancheggia la nuova sistemazione dell’ultimo tratto della strada Via Dietro le Finestre. Quest’ultimo frammento potrebbe essere oggetto di  maggiore valorizzazione, magari solo ripulendolo dalle erbe che lo ricoprono.
Sotto sono designate le Fabbriche come dovevano apparire prima della demolizione. 

testo, disegno e foto: Pino Barbato